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Corpo e spazio A partire da Francesca Woodman
A cura di Francesca Brencio




Introduzione
di Francesca Brencio

30 giugno 2014




Poem about 14 hands high

i am apprehensive. it is like when
i played the piano. first i learned to
read music and then at one point i
no longer needed to translate the notes:
they went directly to my hands. After a
while i stopped playing and when i
started again i found i could not
play. i could not play by
instinct and i had forgotten how
to read music.


Francesca Woodman



Fiumi di inchiostro sono stati scritti su Francesca Woodman e sulle sue fotografie. Miriadi di interpretazioni si sono alternate sul senso della sua opera e su quello della sua vita in relazione alla fotografia, violando anche quella buona pratica che è il silenzio davanti alla sua morte alla sola età di 22 anni.

Esposizioni, retrospettive, cataloghi e studi critici si sono avvicendanti per fornire allo spettatore/fruitore degli strumenti con cui comprendere le opere di Francesca.

Che senso ha, dunque, proporre un volume monografico che porta il nome di Francesca Woodman? Altro inchiostro da aggiungere a quello già speso? Altre interpretazioni da sovrapporre a quelle esistenti? Ennesima monografia che narra del percorso artistico della fotografa?

Questo volume di Kasparhauser ha come oggetto non Francesca Woodman, ma il corpo e lo spazio a partire dall’eredità che le sue fotografie ci consegnano; detto diversamente, il corpo e lo spazio nella loro relazione reciproca e non esclusiva. Più che essere un volume sulla fotografa americana, che tuttavia è presente in modo vivo sia nelle immagini scelte sia in alcuni contributi, il volume vuole fornire al lettore un percorso dal carattere fenomenologico sul corpo e lo spazio a partire dagli scatti di Francesca. Così, corpo e spazio, luogo e oggetto, presenza ed assenza, forma e assenza di forma, diventano i temi privilegiati che gli scatti della Woodman descrivono con quella peculiarità della sua sensibilità artistica.

«Io vorrei che le mie fotografie potessero ricondensare l’esperienza in piccole immagini complete nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dello spettatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza» [1] scrive Francesca nel suo diario: ciò che rimane latente agli occhi dovrebbe fuori come qualcosa di proprio dello spettatore, come qualcosa che gli appartenga. Far uscir fuori, portare alla superficie, manifestare. Ecco allora che il corpo, la nudità, non sono semplicemente l’oggetto di un desiderio ma uno strumento con cui far sperimentare la vertigine allo spettatore. La seduzione della provocazione si alterna all’angoscia del perturbante. Eros e Thanatos sono vicini negli scatti della Woodman e non si oppongono ma si completano, come deve essere perì physesos.

Quasi tutta la produzione di Francesca vive nella dialettica del corpo inteso come oggetto e soggetto dei propri scatti: il corpo è sguardo e al medesimo tempo è guardato. Di sé non offre mai alcuna immagine idealizzata o avulsa dal contesto della scenografia che dà vita alla foto; piuttosto, la Francesca modella di se stessa è cosa fra le cose, corpo fra i corpi, nella nudità fisica che non dista da un frutto, da un pesce, da una sedia.

Corpo oggetto, corpo materia, corpo fra i corpi.


Chi era Francesca Woodman?

«Nata a Denver nel 1958, figlia degli artisti Betty e George Woodman, Francesca cominciò a lavorare col mezzo fotografico a soli tredici anni di età, quando realizzò il primo autoscatto. Nei nove anni che separano questo esordio dall’abbandono volontario della vita, avvenuto nel gennaio 1981 a soli ventidue anni, l’artista ha continuato a fotografare se stessa in ambienti domestici, in mezzo alla natura, sola o con amiche, nel vivo di azioni e performance appositamente progettate. Le serie fotografiche più significative si identificano con i luoghi dove sono state realizzate e ripercorrono i passaggi essenziali della sua biografia: la prima ha per scenario Boulder, nel Colorado, e data agli anni della scuola superiore, la seconda riguarda l’intenso periodo di formazione presso la Rhode Island School of Design di Providence, seguita da quella, molto ricca, che fra 1977 a 1978 venne eseguita a Roma. New York, da una parte, e la natura incontaminata della MacDowell Colony nel New Hampshire rappresentano le fasi estreme della sua opera». [2]

Chi ha conosciuto direttamente Francesca Woodman parla di lei nei termini di una donna piena di vitalità, una donna consapevole e per nulla vittima di se stessa. “Francesca era una donna forte” mi racconta Sabina Mirri al telefono parlandomi di lei e della loro amicizia: una donna vitale, piena di energia e di idee. Questa descrizione di Francesca, che sovente emerge proprio da coloro che l’hanno frequentata tra Roma e New York, urta violentemente con l’immagine un po’ stereotipata di una donna fragile, depressa, incline a consegnarsi alla morte. Innegabilmente, ha urtato con la mia percezione di lei e delle sue foto, permettendomi una luce nuova dalla quale guardarla e attraverso la quale, oggi, non posso che pormi della domande invece di fornire delle interpretazioni. Faccio mia un'espressione di Francesca: anche io, ora, mi trovo a risolvere un’idea come se fosse un problema matematico e trovare la mia posizione/interpretazione dentro l’equazione della sua fotografia e della sua vita.

Il volume raccoglie contributi provenienti da diversi ambiti del sapere ed ogni autore ha declinato il tema qui presentato a partire dalle proprie competenze. A ciascuno di loro va il mio ringraziamento più sincero.

Un ringraziamento speciale va a Sabina Mirri che ha concesso l’immagine di un ritratto fatto da lei a Francesca al tempo della loro amicizia romana.


[1] F. Woodman, Francesca Woodman's Notebook, 2011.
[2] Dal catalogo Francesca Woodman. Retrospettiva fotografica, Siena, 26 settembre 2009 al 10 gennaio 2010.


Francesca Woodman, Untitled


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